Nell’acquisire consapevolezza di quanto sia patriarcale la società che abbiamo ereditato dai secoli che ci hanno preceduto, ci siamo abituati a tutelare e proteggere la conseguente fragilità più evidente: quella della sfera femminile. La vera parità di genere resta difficile da raggiungere persino nella nostra avanzata società occidentale dei diritti ed è forte l’allarme sociale per la violenza psicologica, verbale e fisica dell’uomo nei confronti della donna. Negli anni, il nostro sistema di tutela sociale ha dunque potenziato le azioni di difesa e di denunzia nei confronti della posizione dominante maschile, consentendo alla donna di ridurre la asimmetria del rapporto, sia in virtù della costante crescita del suo ruolo sociale, che della acquisizione della consapevolezza dei meccanismi di protezione giuridica e sociale della propria condizione.

In questo mondo che lavora per diventare sempre più attento a proteggere la parte percepita come più debole nel rapporto tra i due sessi, è quasi scontato che ci sia maggiore difficoltà a prestare attenzione a nuove fragilità che, pur rimanendo apparentemente marginali rispetto al tema centrale, sono diventate di tali evidenza e gravità da non poter più passare inosservate. In Italia, le interruzioni del rapporto tra coniugi lasciano almeno 3 milioni e mezzo di padri separati. Tra questi, secondo l’ISTAT, circa 800 mila sono a rischio di povertà. La rottura di un matrimonio, che ormai riguarda circa la metà dei rapporti coniugali contratti, specie se avviene in presenza di figli, rischia dunque di diventare una “soluzione possibile soltanto per i ricchi”. Per l’uomo, le spese legali del divorzio, gli obblighi del mantenimento dei figli e del coniuge, la necessità di ricostruire la logistica (nuova casa, nuove abitudini) della propria vita minacciano spesso di configurare una situazione difficilmente compatibile con le residue risorse economiche disponibili. In caso di famiglia monoreddito, pur con occupazione professionale maschile assolutamente dignitosa (dipendente pubblico, impiegato, piccolo artigiano), il reddito residuo in capo al padre separato rischia di essere insufficiente per sostenere l’autonomia esistenziale, innescando inevitabili ricadute negative nel rapporto con i figli e nel rancore verso il coniuge assegnatario dell’abitazione familiare.

Attualmente, i servizi di Welfare sono ancora impreparati ad affrontare tale situazione, mentre i Tribunali faticano ad adattare le proprie procedure ad esigenze sociali in continua evoluzione. I padri separati in difficoltà aumentano ogni giorno, sino a situazioni estreme di marginalizzazione sociale che possono condurre alla perdita del rapporto con i figli e, nei casi estremi, ad atti di violenza inconsulta contro sé stessi o contro l’altro coniuge. Sottovalutare il problema appare dunque irragionevole. E’ invece indispensabile prendere coscienza di questa emergente esigenza sociale, magari portando intorno allo stesso tavolo giuristi, operatori sociali e parti in causa per verificare se esistano correzioni del funzionamento dell’attuale sistema complessivo che possano meglio aiutare ad affrontare le nuove difficoltà.

Il Centro di Accoglienza San Vincenzo di Cagliari, che tra le sue opere annovera proprio una “Casa dei padri”, si è posto proprio in questa ottica nell’organizzare l’incontro che si è svolto venerdi 3 ottobre, alle 17, nella accogliente sala conferenze della Casa Mater Nostra delle Figlie della Carità, in Via dei Falconi. Ospiti centrali, due magistrati amici delle opere vincenziane, ma soprattutto autorevoli riferimenti del Tribunale cagliaritano: i dottori Giorgio Latti e Gilberto Ganassi. La parte sociale è stata invece rappresentata dal dottor Augusto Contu, psichiatra di lunga esperienza, impegnato nel volontariato vincenziano che ha affidato alla sua collaboratrice, la dottoressa Angela Lai, la rappresentazione della esperienza diretta nella quotidianità.

Al dibattito, che è scaturito dalle riflessioni dei relatori, hanno poi partecipato diversi “padri separati”, che hanno portato in modo accorato ed emozionante le proprie esperienze personali, talora ai limiti dell’alienazione esistenziale, in una implicita richiesta di soccorso e aiuto rivolta ai soggetti istituzionali presenti.
Per merito della disponibilità dei relatori, che hanno accettato di mettere in discussione il proprio metodo di lavoro, l’atmosfera ha perso ogni connotato formale e l’incontro si è trasformato in un vero e proprio seminario di riflessione alla ricerca degli elementi su cui lavorare per migliorare la situazione percepita.

Anche sulla base delle testimonianze arrivate dai padri separati è emerso con chiarezza che uno degli elementi di massima criticità della prima fase del percorso di separazione è rappresentato spesso dall’elevato tasso di contenzioso nell’ambito della coppia, con forti rancori reciproci che si riverberano nei rapporti con i figli, nella difficoltà a gestire congiuntamente l’eventuale affidamento condiviso e nella indisponibilità a venirsi reciprocamente incontro nelle pattuizioni economiche. Talora, la separazione viene gestita dalle parti in assenza di una elaborazione compiuta della luttuosità dell’evento, con conseguente carenza delle condizioni minime per garantire una comunicazione civile tra i coniugi in disaccordo.

Sia il dottor Latti, che il dottor Ganassi hanno dunque convenuto che, nella complessità estrema delle relazioni sociali precedenti la separazione (che sempre più frequentemente non avviene tra coniugi, ma tra conviventi), il potenziamento delle attività giudiziarie e sociali di mediazione di coppia potrebbe avere un’importante azione di raffreddamento del contenzioso tra le parti, con indubbio beneficio per i rapporti con i figli e per la stessa determinazione delle condizioni economiche della separazione. Certo, il potenziamento delle attività di mediazione di coppia non è la panacea per tutti i mali di una nuova condizione di povertà sociale (quella dei padri separati) per la quale è senz’altro indispensabile attivare tutte le possibili azioni di ascolto e di intervento, idonee a supportare una criticità ancora non del tutto emersa, sicuramente molto più diffusa di quando non appaia. Però è indubbio che, in una condizione complessiva in cui le garanzie del sistema di Welfare appaiono sempre più in discussione, anche per via delle nuove esigenze di bilancio statale connesse alle spese per la sicurezza nazionale che si stagliano all’orizzonte, sia estremamente importante mantenere vivo il dialogo e il confronto tra tutti gli attori del sistema, che consenta la vicendevole segnalazione di qualsiasi intervento che possa attenuare l’impatto e i rischi sociali della nuova situazione di fragilità maschile.

All’incontro del 3 ottobre, promosso con la solita determinazione e il consueto pragmatismo dalla animatrice del Centro di Assistenza San Vincenzo, Suor Anna Cogoni, va dunque il merito assoluto di essere rimasto volutamente ben lontano dalla pompa magna dei convegni sui massimi sistemi, per attivare invece confronto vero e costruttivo su un tema lacerante, coinvolgendo in modo appassionato e cooperante tutti coloro che, ogni giorno, si sporcano le mani e faticano per dare risposte reali a chi ne ha bisogno.

Autore: Dott. Pierpaolo Vargiu